Partiamo dal nome: La Tosse Grassa, come quella che dà molto fastidio e di cui non ti liberi facilmente.
Proprio così. Ad un primo ascolto, il nuovo album di Vanni Fabbri non si comprende e dà quasi fastidio, ma se fa parte di un progetto più alto iniziato dai precedenti album Tg1 e Tg2 forse non serve trovare un senso a questo terzo lavoro, TG3,
autoprodotto ma semplicemente prendere atto che la musica è anche
questo: esprimere la propria idea con i mezzi che si ritengono più
consoni. In questo caso l’idea è il rigetto per la società in cui
viviamo e i mezzi sono un misto di generi più disparati che si
accavallano sulla ripresa di testi di vari artisti italiani e non.
E’ difficile inquadrare il disco in un genere preciso, quello più
calzante è il brutal dance pop che suona come un vero e proprio
ossimoro. Invece facilmente si passa dal metal delle prime note di Veleno, ma rintracciabile anche più chiaramente in Matrimonio gay e Marchigian routine 2, dove con passaggi non troppo lineari si sfocia in una dance già usata in La vita è bella (quella de Benigni), all’elettronica (Sequenza distruzione Parigi, Santo subito).
Tutto è il contorno di testi fin troppo espliciti che vogliono
brutalmente offendere il sistema di corruzione e di degrado dei nostri
tempi e che sfociano in una parossistica satira sociale.
Con Tg3 si riconferma anche la tendenza, esplicitamente
dichiarata, alla ripresa di brani dai motivi indimenticabili per
storpiarne contenuto e forma: dai Franz Ferdinand, a Sei un mito degli 883, addirittura a Tiziano Ferro, all’inconfondibile motivetto circense rallentato in Suicidami.
Un disco decisamente rocambolesco che senz’altro sarà più apprezzato dai proseliti vicini al Culto della Tosse Grassa, nato già nel 2011 e che in attesa degli altri Tg non hanno intenzione di curarsi.
voto: 4 su 5
Ivonne Ucci, ROCK SHOCK
www.rockshock.it
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